Immaginando l’iperturismo come un maremoto, un evento naturale incontenibile e catastrofico, è facile assistere all’ineluttabile e violenta marginalizzazione delle comunità più povere. L’ipocentro si puo’ individuare al livello dello scalino sociale che determina chi viene escluso e chi brinda a queste perdite. I celebri city users modulano l’altezza delle onde distruttrici della turistificazione attraverso le loro attività di consumo. Emerge il primo elemento di conflitto; le necessità dei turisti si scontrano con quelle degli abitanti, soffocando queste ultime e manipolando l’economia della città. Intesa come un organismo in cui convivono simbioticamente più agenti diversi, la città viene sostituita prepotentemente con un simulacro di sé stessa, un non-luogo, senz’anima e alienante, in cui regna la legge dell’omologazione e della redditività, istituita da un capitalismo cronofago ed estrattivista. Diventa sempre più urgente costruire pratiche di opposizione alle sordide attività di spoliazione dei territori e dei corpi, immaginando una realtà ibrida, sovversiva, contaminata da identità fluide e liberate.